P. Verlaine - Languore



Qualche lettore poco avvezzo alla letteratura d'Oltralpe potrebbe chiedersi come mai questo piccolo blog, scritto in lingua italiana da un partenopeo residente ai Castelli Romani, abbia un titolo in francese. Soprattutto, il poco avvezzo lettore di cui sopra potrebbe chiedersi se non sia eccessivamente pretenzioso definire se stessi con la frase "Io sono l'Impero".
E' mia volontà, più che mio dovere, spiegare il titolo del blog che virtualmente sfogliate: "Je suis l'Empire à la fin de la décadence" è il primo verso del sonetto LANGUEUR (trad. Languore), scritto dall'indimenticato e indimenticabile poeta francese Paul Verlaine e da questi inserito nella raccolta poetica "Jadis et naguère":

Je suis l'Empire à la fin de la décadence,
Qui regarde passer les grands Barbares blancs
En composant des acrostiches indolents
D'un style d'or où la langueur du soleil danse.
L'âme seulette a mal au coeur d'un ennui dense.
Là-bas on dit qu'il est de longs combats sanglants.
O n'y pouvoir, étant si faible aux voeux si lents,
O n'y vouloir fleurir un peu cette existence!
O n'y vouloir, ô n'y pouvoir mourir un peu !
Ah ! tout est bu ! Bathylle, as-tu fini de rire ?
Ah ! tout est bu, tout est mangé ! Plus rien à dire!
Seul, un poème un peu niais qu'on jette au feu,
Seul, un esclave un peu coureur qui vous néglige,
Seul, un ennui d'on ne sait quoi qui vous afflige!

La traduzione del sonetto, realizzata dal Frezza per le edizioni Rizzoli nel 1974, è:

Sono l’Impero alla fine della decadenza,
che guarda passare i grandi Barbari bianchi
componendo acrostici indolenti dove danza
il languore del sole in uno stile d’oro.
Soletta l’anima soffre di noia densa al cuore.
Laggiù, si dice, infuriano lunghe battaglie cruente.
O non potervi, debole e così lento ai propositi,
o non volervi far fiorire un po’ quest’esistenza!
O non potervi, o non volervi un po’ morire!
Ah! Tutto è bevuto! Non ridi più, Batillo?
Tutto è bevuto, tutto è mangiato! Niente più da dire!
Solo, un poema un po’ fatuo che si getta alle fiamme,
solo, uno schiavo un po’ frivolo che vi dimentica,
solo, un tedio d’un non so che attaccato all’anima.

Spero che dopo la lettura di questo superbo sonetto, sia più chiara la ragione del titolo di questo blog.

                                                                                    
                                                                                            D.


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